Tout Maigret (peut-être), 7 - Il crocevia delle tre vedove

(Da ferencpinter.it)
Scritto nell'aprile del 1931 e pubblicato due mesi dopo chez Fayard, La nuit du carrefour è un romanzo abbastanza singolare. In prima battuta sembrerebbe (riferendoci alla dicotomia cui più di una volta abbiamo accennato in questa serie di post) un classico romanzo del carnefice. dato che della vittima (o meglio: delle vittime) veniamo a conoscere poco più di nome e professione; d'altra parte la figura che viene delineata con maggiore dovizia di dettagli e più approfondito scavo psicologico è quella di un personaggio che in verità carnefice non è.
 
Inoltre, questo romanzo è uno dei pochissimi esempi nell'intero corpus maigrettiano in cui vediamo il nostro eroe pericolosamente vicino a qualcosa che ha tutta l'aria di essere un turbamento erotico.  In effetti è abbastanza curioso che nel delineare la figura di Maigret, Simenon lo abbia doviziosamente  caratterizzato in rapporto a tutta una serie di appetiti (almeno apparentemente) elementari per poi chiudersi in una reticenza pressoché assoluta rispetto a un tema che peraltro non gli era affatto estraneo (per usare un garbato eufemismo) né come scrittore né come uomo. Censura? Autocensura? Non lo sapremo mai. Sta di fatto che per tanti riguardi - dal cibo, alla pipa, dai posti caldi al Calvados  - conosciamo nel dettaglio qualità e quantità di ciò che piace a Maigret; quando giungiamo al capitolo donne, abbiamo una serie di accenni vaghi e spesso di segno negativo: conosciamo donne che lo lasciano indifferente, altre che gli suscitano una tenerezza piuttosto paterna che di altro segno; da questo punto vista, l'unica cosa certa è che Maigret è... il marito della signora Maigret. Ecco, in questo libro ci sono alcuni piccoli sprazzi che illuminano un aspetto della personalità del commissario sul quale sappiamo davvero poco. E si tratta di sprazzi che fanno intravvedere una realtà assai meno ordinariamente borghese (e quindi assai più interessante) di quanto potremmo sospettare.

Ma forse l'aspetto più peculiare di questo romanzo è il virtuosismo davvero incredibile che Simenon mostra nella costruzione dell'atmosfera, o meglio delle atmosfere. Da una parte abbiamo un incrocio su una statale qualunque dell'Ile-de-France, quattro case in mezzo a un nulla fatto di campi e di boschi.  Senza le facilitazioni offerte dai bistrot e dai negozi di Parigi, senza le suggestioni dell'acqua del mare o dei canali, Simenon riesce a caratterizzare questo non-luogo in maniera addirittura cinematografica: e non è un caso se praticamente subito dopo l'uscita del libro, un regista del calibro di Jean Renoir ne trasse un film di una pregnanza visiva assoluta. E poi - in contrasto con la scala di grigi del paesaggio circostante - c'è la casa degli Andersen, di questo stranissimo gruppo di famiglia in un interno in cui nulla è ciò che sembra e si respira un clima quasi da serra.

In conclusione: uno dei più atipici romanzi di tutto il ciclo, col plot giallo che arriva quasi a recedere sullo sfondo per fare posto a una storia di intrighi, di passioni e di avidità degna del miglior Balzac. Non possiamo non rimanere ammirati di fronte alla folle prodigalità dell'invenzione simenoniana, che in un giallo profonde una quantità di spunti e di temi che sarebbero tranquillamente bastati per tre romanzi durs



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