Todo cambia


Come i lettori più fedeli di questo blog avranno forse già sospettato, non sono particolarmente amante dell'avventura.
Non pratico sport estremi; non mi dedico al bungee jumping o allo scialpinismo; non mi si vede solcare mari, oceani o laghi con lo sguardo fiero rivolto verso l'orizzonte; in auto sono un rigido osservante dei limiti di velocità e un assiduo frequentatore delle corsie più a destra. 
Le avventure che preferisco sono quelle che si svolgono stando comodamente seduti, leggendo un libro, ascoltando musica, fumando la pipa. Sono avventure della mente.

Eppure ogni tanto anche in questa metodica esistenza un po' da Phileas Fogg fanno irruzione - come nel caso del compito gentiluomo di Verne - delle circostanze e delle esperienze che alzano i livelli di adrenalina oltre il consueto. Come ad esempio, dopo aver lavorato per tredici anni di fila nello stesso posto, stampare, firmare e consegnare una lettera di dimissioni.

Tredici anni sono davvero tanti. Se avessi avuto un figlio nell'anno in cui ho cominciato a lavorare nel posto che ho appena lasciato, questo ipotetico figlio adesso avrebbe finito la terza media. Dopo tredici anni non si lascia solo una scrivania, ci si lascia alle spalle un pezzo di se' stessi. Con alcuni colleghi nel corso degli anni siamo diventati amici. Con altri no, ma poco importa. Ognuno di loro, anche senza saperlo e in certi casi senza volerlo, mi ha insegnato qualcosa. Non è retorica dire che senza di loro sarei oggi una persona diversa: è semplice contabilità esistenziale. 
Non è una decisione facile, e soprattutto è una decisione che - per quante cautele si siano volute prendere - prefigura una scelta che si potrà giudicare e valutare solo in un futuro che per il momento appare nebbioso e tutto da costruire. 
Un po' come quando ci si sposa, mi direte. Certo, ma almeno (di solito) ci si sposa in due: un lavoro invece lo si lascia da soli.

D'altra parte viene un momento in cui anche non cambiare è una scelta. E quando si ha la sensazione che senza cambiare si finisce per tradire sé stessi, anche un pigro conclamato come Yours Truly non può fare altro che raccogliere le proprie cose, come nella poesia di Kipling, (o come si dice icasticamente dalle mie parti: aunare le bavarattelle) e partire. 

E partiamo dunque. 
Come scrive D'Annunzio, "Settembre, andiamo. E' tempo di migrare".
Cosa c'entra settembre, dite? E il periodo di preavviso dove lo mettete?




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