Perduto al mondo

Claudio Abbado, 1933-2014
Non riesco a collocare esattamente questo ricordo nel tempo, probabilmente avrò avuto sette-otto anni. E' mattina e ci stiamo preparando tutti per andare a scuola. Mio padre si fa la barba ascoltando il Giornale Radio. A un certo punto il giornalista parla di qualcuno che è stato condannato agli "arresti domiciliari". E' un concetto un po' ostico per me e chiedo spiegazioni: mio padre mi dice che si parla di arresti domiciliari quando qualcuno è costretto, in seguito a una condanna, a rimanere a casa sua senza potervi uscire.
La spiegazione mi confonde ancora di più le idee: posto che nulla è più bello che potersene stare a casa, come diavolo fa una cosa del genere a poter essere una pena? Cioè, ti evitano per legge l'immane seccatura di dover uscire e questa la chiamano condanna?
Decido tra me e me che una delle prime cose da fare una volta diventato grande è mettere un giudice in condizione di darmi gli arresti domiciliari, così potrò starmene un po' tranquillo.

Come tante cose che si immaginano da bambini anche questa è rimasta una fantasia: la mia fedina penale è banalmente vuota e non posso contare su cospicue rendite, il che significa che anch'io vivo buona parte della mia giornata fuori casa.

Ma col tempo ho capito che quel piccolo episodio d'infanzia era una sorta di epifania, la rivelazione di un tratto di me stesso. Vedete, non era (non è) tanto stare a casa per stare a casa: è che stare a casa permette silenzio e distanza. 
Non penso di essere un misantropo (Justyna in proposito ha un'opinione leggermente diversa, ma è una delle poche questioni su cui siamo in radicale disaccordo): in generale penso di avere un approccio positivo nei confronti del mio prossimo. E non è neanche una questione di timidezza, con la quale nel tempo ho trovato un modus vivendi tutto sommato soddisfacente.
E' proprio che sono una di quelle persone che se passano troppo tempo senza poter stare da soli, se non hanno la possibilità di chiudersi alle spalle i rumori provenienti dall'esterno cominciano a sentirsi a disagio. E questo disagio può arrivare fino a diventare (metaforicamente, beninteso) senso di soffocamento e mancanza d'aria.

Glenn Gould è stato un'icona di questo tipo di personalità. E ho il sospetto che la fase di monomania gouldiana che ho attraversato in gioventù fosse dovuta non solo alla folgorante bellezza delle sue interpretazioni, ma anche all'aver scoperto qualcuno che riconoscevo, che sentivo affine. 

E un altro sospetto che ho, sulla base delle indicazioni del fiuto col quale ogni specie riconosce i propri simili, è che anche Claudio Abbado, il grandissimo direttore d'orchestra scomparso lo scorso lunedì, dovesse essere della partita. Non saprei come spiegarlo: ma è una cosa che ho sempre sentito, di cui mi sono convinto osservandone i video e notando certi sguardi, certi sorrisi, certi gesti compiuti prima, durante e dopo le sue esecuzioni. In realtà non credo si possa essere grandi musicisti (o anche musicisti tout-court) senza saper apprezzare a fondo il silenzio; ma per chi è come Gould, come Abbado, come (si parva licet componere magnis) me il silenzio smette di essere qualcosa che si apprezza per diventare qualcosa di cui si ha - puramente e semplicemente - bisogno.

Non voglio lanciarmi in una disamina o in un panegirico della gigantesca eredità di bellezza e di cultura che ci ha lasciato Abbado, dato che fatalmente sarei condannato ad oscillare fra verità già dette da altri e sciocchezze mie originali. A chi volesse un excursus sull'argomento mi limiterò a segnalare lo stupendo articolo che il mio amico Giuseppe D'Alessandro ha scritto in proposito.
Mi piace invece ricordare che grazie alla trasmissione radio (in AM) di un suo concerto con quella che all'epoca si chiamava ECYO (European Community Youth Orchestra)  a tredici o quattordici anni scoprii l'incanto dell'ouverture del Flauto Magico  di Mozart. Sono passati più di trent'anni da allora e l'eco di quella musica non si è ancora spenta dentro di me.

E non saprei immaginare maniera migliore per chiudere questo ricordo di un musicista che come pochi ho sempre sentito vicino se non affidandomi a una delle pagine più contemplative e struggenti di tutto Mahler, il lied Ich bin der Welt abhanden gekommen. Un inno al silenzio ed alla pace, l'inno di tutti i perduti al mondo di questo mondo.






ICH BIN DER WELT ABHANDEN GEKOMMEN


SONO ORMAI PERDUTO AL MONDO
Ich bin der Welt abhanden gekommen
Mit der ich sonst viele Zeit verdorben,
Sie hat so lange nichts von mir vernommen,
Sie mag wohl glauben ich sei gestorben!
Es ist mir auch gar nichts daran gelegen,
Ob sie mich für gestorben hält.
Ich kann auch gar nichts sagen dagegen,
Den wirklich bin ich gestorben der Welt.
Ich bin gestorben dem Weltgetümmel
Und ruh'in einem stillen Gebiet!
Ich leb allein in meinem Himmel
In meinem Lieben in meinem Lied.
Sono ormai perduto al mondo
Col quale ho anche perduto gran tempo;
Tanto a lungo non ha saputo più niente di me,
Che può pensare ormai che io sia morto!
Ma non mi importa niente
Che mi creda morto.
E non posso neanche contraddirlo,
perché sono veramente morto al mondo.
Sono morto al chiasso del mondo,
E riposo in un luogo silenzioso!
Vivo solo nel mio cielo
Nel mio amore, nel mio canto.

Commenti

  1. caro amico, in effetti il ricordo di Abbado, a parte la stupenda musica di Mahler, verte su una parola: ascoltare. Ascoltare il silenzio, trovare dentro di sè le parole per esprimere concetti non banali e spesso segreti e per questo così intimi da non saperli o poterli rivelare ad altri. Non ho mai avvicinato Abbado, a differenza di altri direttori d'orchestra, proprio perchè percepivo questo aspetto, estremamente riservato che lo contraddistingueva....

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