Dekalog, dwa

Come ho già scritto altrove, rivedere film mi piace quasi più che vederli. E tra i film coi quali posso vantare le più lunghe, intense e appassionate frequentazioni uno dei primi posti spetta senza ombra di dubbio a Decalogo 2 di Krzysztof Kieślowski. Tante cose della Polonia e della sua cultura le ho scoperte grazie a Justyna; ma il Decalogo è una di quelle (poche, in verità) che conoscevo e amavo da prima che lei facesse irruzione nella mia esistenza.
Su questo gigantesco progetto (dieci mediometraggi destinati alla televisione della durata di circa un'ora l'uno, da cui poi sono germinati due film per il cinema) che alla luce dei dieci comandamenti costituisce una poderosa meditazione sulla condizione umana nel suo complesso sono stati scritti centinaia di articoli, saggi, libri: non ho quindi l'ambizione di dire nulla di originale, nulla che probabilmente non sia giù stato detto meglio altrove. Ciononostante qualche dilettantesca riflessione sul secondo di questi episodi vorrei farla lo stesso.
La trama di questo film sembra presa da un manuale di etica, uno di quei libri in cui si esaminano dilemmi morali e si cerca in astratto di capire quale sia la linea di condotta più giusta.
Il Primario (di cui non sapremo mai il nome) è un anziano medico che dirige il reparto di oncologia di un ospedale di Varsavia. Tra i suoi pazienti si trova Andrzej, un alpinista, marito di Dorota. La coppia abita nello stesso enorme casermone del Primario. Forzando tutte le resistenze del Primario, Dorota irrompe nella solitaria routine dell'uomo per chiedergli, per estorcergli una certezza: ha bisogno di sapere se il marito sopravviverà. Ha bisogno di saperlo perchè ha scoperto di essere incinta. Di un altro uomo. Se il marito dovesse morire, lei terrà il bambino e proverà a ricostruirsi una vita con l'altro; diversamente non potrà tenere il bambino e abortirà.
Aleksander Bardini, il Primario
Ovviamente non rivelerò come va a finire, se vi interessa dovrete cercarvi altrove il seguito o (ancora meglio) guardarvi il film.
Il primo punto, il primo paradosso che vorrei rilevare è questo: come da una storia tanto paradigmaticamente astratta sia venuto fuori un film tanto appassionatamente concreto. Come - molto prima di essere coinvolto sul piano della riflessione morale - lo spettatore sia catturato dal fascino primordiale di una storia che gli viene raccontata: questo film si guarda con la tensione e la suspence tipica dei più riusciti thriller.
Probabilmente c'entra qualcosa anche la caratterizzazione dei personaggi: nel corso dell'ora scarsa del film essi ci si disvelano in tutta la loro umana, dolente concretezza. Non sono marionette che regista e sceneggiatore fanno muovere per dimostrare una tesi. Sono persone vere. Un merito questo che a mio avviso va ripartito in egual misura tra le prove davvero maiuscole degli interpreti (Aleksander Bardini e Krystyna Janda in primis, ma anche le figure di secondo piano) e la miracolosa efficacia di una sceneggiatura che - procedendo michelangiolescamente per via di levare - non priva mai i personaggi del loro nucleo di personale unicità. Man mano che il film procede ci troviamo ad interessarci di queste persone e della loro evoluzione in maniera del tutto individuale.
Krystyna Janda, Dorota
L'altro elemento che mi piace sottolineare è l'assoluta perfezione dell'insieme. Potete riguardare questo film all'infinito e non ci troverete mai nulla fuori posto. Di sceneggiatura e attori ho già detto; ma anche la fotografia cristallina, tersa, chiarissima, spesso ai limiti della sovraesposizione di Edward Kłosiński contribuiscono al risultato finale; e lo stesso avviene per la musica straordinariamente evocativa di Zbigniew Preisner. In altri episodi della serie capita che un elemento prenda il sopravvento sugli altri, senza che questo peraltro mini la riuscita stilistica dell'opera: qui invece tutto è in un equilibrio che ha davvero del miracoloso. Un andante in minore di Mozart, ecco il tipo di perfezione a cui questo film mi fa pensare.
Nel Dialogo di Timandro ed Eleandro Leopardi sostiene di avere poca stima di una poesia che per mezz'ora dopo la lettura non impedisca al lettore "di ammettere un pensier vile, e di fare un'azione indegna". Questo film (ma in verità anche gli altri della serie) avrebbe sicuramente superato il severo criterio leopardiano: ci si trova alla fine della visione migliori, più attenti, più compassionevoli. Non saprei immaginare elogio migliore per un'opera d'arte.

Qui di seguito trovate il link al film completo su YouTube, doppiato in italiano:




 Se invece preferite la versione originale (che vi consente di apprezzare le voci degli interpreti), sottotitolata in inglese, eccola qui:





Commenti

Post più popolari